GNGTS 2014 - Atti del 33° Convegno Nazionale
GNGTS 2014 S essione 2.3 353 attraversare i momenti critici possibili come se fossero già stati attraversati con l’esito desiderato: onde si sta nella storia “come se” non ci si stesse» (de Martino, 1995, p. 148). Tutto ciò comporta un processo, definito da de Martino processo di destorificazione mitico-rituale , termine tecnico utilizzato dallo studioso italiano per indicare la sospensione, l’abolizione della storia, attraverso il dispositivo o simbolo mitico-rituale: «La destorificazione di un momento critico dell’esistenza è, innanzitutto, il “mito” di tale momento. In secondo luogo è possibilità di ripetere il mito tutte le volte che quel determinato momento critico si presenta; è cioè rito» (ivi, p. 123). In La fine del mondo , de Martino definisce l’utilizzo di questo dispositivo da parte dei primitivi come un «comportamento che riconduce sempre di nuovo il “questa volta” storico ad “una volta” metastorica, che è anche “una volta per sempre”» (de Martino, 1977, p. 378). Il questa volta è l’evento contingente, l’ hic et nunc rappresentato dal momento critico (per esempio la inondazione, il maremoto o l’eruzione vulcanica) che viene fatto ritornare all’ una volta per sempre , ossia alle origini di quell’evento che fu per la prima volta fondato e risolto, ad opera non di uomini, ma di numi, riassorbendo la proliferazione dei momenti critici nella iterazione di una realtà metastorica sempre identica a se stessa. A questo proposito de Martino commenta alcuni dati riportati da Helmut Preti facendo riferimento alla credenza in Ungud, ossia, nel mito del serpente-arcobaleno presso alcune tribù degli indigeni australiani del Kimberley: «Ungud, mitico serpente-arcobaleno, ha il suo camp nella terra o nel profondo di cave d’acqua. Creatrice del mondo, origine di tutto ciò che sulla terra vive e cresce, essenza numinosa unitaria che all’inizio dei tempi fece sorgere il mondo dal caos originario, trasse dalla terra gli esseri viventi ovvero con la pioggia li inviò sulla terra. [...], Ungud al tempo della pioggia fa fluire l’acqua nell’alveo dei fiumi e nei creeks . Si erge al cielo come serpente- arcobaleno colorato per divorare le piogge, cioè farle finire» (de Martino, 1977, p. 376). L’esempio che abbiamo appena riportato del mito di Ungud, rappresentato dal serpente- arcobaleno, presso gli indigeni del Kimberley, ha al suo centro l’azione rituale. Se i riti non sono eseguiti allora Ungud, essenza numinosa, forza operante per il bene, manda tutte le catastrofi distruttive delle inondazioni e della pioggia, facendo precipitare il mondo nel disordine e nel caos. Acaratterizzare queste culture è l’idea che il mondo sia sostenuto da questi comportamenti esemplari, che consentono di allontanare il disordine, nell’esempio appena citato rappresentato dal rischio dell’inondazione nella stagione delle piogge, mediante un fare rituale che riassorbe sempre il “questa volta storico”, ossia, l’accadere, nell’”una volta per sempre”, ossia, nel modello mitico, in un ordine metastorico, fondato in illo tempore e garantito da una forza: «Per una collettività che vive di caccia e di raccolta, in un paese in cui i mezzi di sussistenza dipendono in larga misura dalla stagione delle piogge e del rapido riapparire della vegetazione dopo un lungo periodo di siccità, in un regime di esistenza, in cui l’acqua sia come pioggia fecondante che come fonte dissetante, sta al centro delle possibilità esistenziali, si comprende come l’ordine sia rappresentato dal serpente-arcobaleno: una immagine che unisce in un modo emozionale altamente pregnante il cielo da cui cade la pioggia e la terra nel momento in cui la pioggia cessa e la vegetazione si appresta ad esplodere. Questa immagine esclude, [...], sia la siccità che l’inondazione: e opera questa esclusione in quanto è un ordine metastorico, fondato in illo tempore e garantito da una forza che, al tempo stesso, siede nel cristallo del cielo, [...]. Senza dubbio l’ordine storico è molto più problematico, vi può essere siccità o inondazione, le piante possono inaridirsi e gli animali essere in penuria oltre il limite stagionale: ma questa vicenda reale diventa sopportabile e attraversabile nella misura in cui la storicità è occultata, mascherata, esclusa dalla coscienza culturale dominante» (de Martino, 1977, p. 378). La misurazione del nesso mitico-rituale secondo la ripetizione dell’ arché , ossia di quel quid da cui hanno inizio e derivano tutte le cose, dominante nel mondo primitivo è stata tentata anche dal filosofo di origine rumena e francese d’adozione Mircea Eliade (1907-1986), il maggior storico, teorico e filosofo del rito e dell’esperienza religiosa come esperienza antropologica, nel testo Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizioni (Eliade, 1949). Ma contrariamente ad Eliade che considera la ciclicità e la ripetizione come lo statuto, la verità del tempo umano,
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