GNGTS 2014 - Atti del 33° Convegno Nazionale

354 GNGTS 2014 S essione 2.3 de Martino va in un’altra direzione rispetto a quella di Eliade, considerando la ripetizione episodica, ossia come il rimedio nei momenti critici dell’esistenza in cui, cioè, vi è una rottura fra il piano metastorico e quello storico. È in questi momenti di crisi che le società primitive o arcaiche sentono la necessità di ripetere certi discorsi, certi fatti o episodi della vita di altissimo significato individuale e sociale, la prima caccia, la prima tempesta, la prima eruzione vulcanica, il primo maremoto, che costituiscono una sorta di modello, di archetipo. La possibilità del rito come ripetizione di un modello mitico permette all’uomo primitivo di risalire la china, di oltrepassare una certa situazione critica, non sul piano mondano o profano, ma su quello mitico-rituale, ossia, su un certo piano del già accaduto nella metastoria non per opera di uomini ma di numi, per poi ricominciare da capo, ancora una volta. Il nesso mitico- rituale, dunque, riattiva , riprende l’esperienza storica, ma prima di ogni altra cosa destorifica , sospende, mette fra parentesi la storia, ripristinando e restaurando una condizione antica, una situazione di partenza che abbiamo abbandonato. Ma perché attraverso la ripetizione mitico- rituale si sospende o si abolisce la storia? Perché colui che ripete l’archetipo non ritiene di imitare un certo momento storico, qualcosa che avvenne allora ma è una simultaneità, una contemporanea identificazione con quel tempo, ripristinando quell’ illud tempus , molto simile al fenomeno del déjà vu , del già vissuto, in cui si è padroneggiati dal rivivere un momento passato. Si tratta di una tendenza umana, per cui si tende a ricordare un evento storico non in quanto compiuto da x o y ma in quanto esempio di un evento, in quanto esemplarità. Si tratta di modelli positivi a tutto tondo che vengono ripresi, ripetuti nei momenti critici dell’esistenza, quando ci si trova dinanzi ad un mutamento, collocando colui che ripete nello stesso tempo originario in cui è situato il prototipo o modello. Non si tratta, dunque, semplicemente di un rimando ma di un’insidiarsi nel luogo dell’origine. Questi momenti sono definiti da de Martino critici , in quanto si tratta di situazioni limite in cui si rischia di perdere la presenza. Si tratta di situazioni di particolari sofferenze e privazioni, come per esempio la situazione luttuosa, o il corso di una guerra, di una carestia, di una catastrofe. In questi momenti, la situazione limite – all’inizio del paragrafo si è fatto riferimento per esempio alle esperienze di catastrofi naturali presso alcune tribù indigene di Namatanai e delle isole Caroline – può essere ierofanizzata ossia ricondotta alle origini, ab illo tempore : «Il momento critico dell’esistenza perché rivela alla presenza il mutamento, sia che si tratti di un mutamento in cui la presenza è chiamata a determinare (per. es. l’uccisione della fiera), sia che si tratti di un mutamento che si annunzia senza che la presenza possa determinarlo (per. es. la tempesta), sia che si tratti di un mutamento irrevocabile dinanzi a cui la presenza viene posta (per. es. il cadavere). La storia nei momenti critici, si rivela attraverso la carica affettiva che li impone alla presenza» (de Martino, 1995, p. 113). Il momento critico impone, cioè, una decisione , un pronto adattamento alla realtà: il cacciatore davanti alla fiera, l’agricoltore davanti alla tempesta, ecc. Il dispositivo della decisione umana è spesso collegato al rischio . Il decidere , la cui etimologia rinvia alla parola latina de-caedere , ossia, “tagliare via”, che risuona anche nei termini contemporanei “troncare”, “interrompere”, è un’umile mossa o operazione adattativa all’ambiente, alla società che è necessaria alla nostra sopravvivenza e che non ha nulla a che vedere con il libero arbitrio. Senza “troncare”, “interrompere”, “tagliare corto”, l’animale che ha linguaggio non riuscirebbe a sopravvivere ma sarebbe perso a se stesso e al mondo. Ecco che al cospetto di un momento critico che questa incertezza eccessiva, esorbitante di cui siamo preda quando ci troviamo dinanzi ad un rischio o momento critico “in cui sembra che non ci sia più nulla da fare”, l’uomo sviluppa una serie di strategie pratiche necessarie per interrompere l’illimitato che turba la nostra vita e che ci impedisce di agire, chiamato dai greci ápeiron (��������� �� ���������� ���� �� �������� �� ἄπειρον). Le principali sono la funzione di destorificazione dei miti e quella dei riti delle società primitive, definita da de Martino tecnica che media la reintegrazione nella storia. Il dispositivo mitico-rituale allontana il rischio, ma non Sul rischio inteso come ciò che è calcolabile ed è sempre collegato al dispositivo di una decisione umana, si veda l’articolo di Andrea Tagliapietra, Filosofia. Il rischio e il limite , 2012.

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