GNGTS 2015 - Atti del 34° Convegno Nazionale

La profondità della base della successione alluvionale varia in funzione della presenza delle Pieghe Ferraresi; nelle aree di sinclinale lo spessore delle alluvioni supera i 500 m mentre nelle aree di anticlinale si riduce fino a 100 m (RER & ENI – Agip, 1998). Scendendo nel dettaglio dell’assetto relativo ai primi 15-20 m di profondità si individuano tre unità corrispondenti a tre fasi sedimentarie e paleogeografiche ben distinte. L’unità stratigraficamente inferiore appartiene alla successione terminale del Pleistocene e testimonia la diffusione di ambienti di piana alluvionale. L’unità intermedia, di seguito indicata come “Unità delle paludi”, documenta la presenza di ambienti palustri estesi e persistenti (“valli”), in cui sfociavano i fiumi appenninici, sviluppatisi a partire dalla massima trasgressione olocenica in questo settore (datazioni C14 indicano un’età di circa 4400 anni nella porzione inferiore di questa unità, ISPRA, 2009). Questi ambienti, dove non disturbati dall’attività fluviale ed antropica, si sono mantenuti fino all’epoca moderna. L’unità superiore, “Unità dei canali fluviali”, interessata dai fenomeni di liquefazione, è caratterizzata da depositi di canale, argine e rotta e testimonia un’intensa attività fluviale in questi territori. La ricostruzione stratigrafica di dettaglio di questa successione è piuttosto difficoltosa a causa della discontinuità dei corpi e dalle geometrie complesse a “dossi e depressioni”, tipiche della piana alluvionale appenninica. L’assetto idrogeologico relativo a queste tre unità è caratterizzato dalla presenza di un sottile acquifero freatico, spesso una decina di metri circa, sovrapposto ad un complesso sistema multifalda di acquiferi confinati, che prosegue nel sottosuolo per alcune centinaia di metri. Al di sotto del sottile spessore dell’acquifero freatico sono presenti dei corpi sabbiosi acquiferi, di natura sia appenninica che padana, di ambiente deposizionale fluviale e deltizio, separati tra loro da ingenti spessori di depositi fini che li isolano sia dalla superficie topografica che reciprocamente tra loro. Questa separazione dalla superficie topografica fa sì che le caratteristiche idrogeologiche (livello e qualità) di questi acquiferi siano del tutto diverse rispetto a quelle della falda freatica sovrastante, dalla quale essi sono certamente separati idraulicamente. E’ noto che la liquefazione delle sabbie, in seguito ad eventi sismici, avviene entro i primi 15 m circa di profondità, per questo motivo si ritiene che l’influenza degli acquiferi sottostanti all’acquifero freatico, sia pressoché nulla. Da un punto di vista superficiale è evidente come gli episodi di liquefazione si identifichino in corrispondenza dei “dossi” dell’Unità dei canali fluviali. In Fig. 1 è presentato il rilievo plano-altimetrico da lidar dell’area di Cavezzo. Si può osservare come i punti di liquefazione (individuati dai triangoli) siano ubicati tutti a quote superiori rispetto al territorio circostante (25 -27 m s.l.m.) lungo gli argini del corso Canalino. Metodi di analisi della risposta sismica locale e introduzione a Deepsoil. Esistono 2 metodi alternativi per condurre l’analisi di risposta sismica locale di un deposito, l’analisi lineare equivalente (Seed e Idriss, 1969) viene condotta schematizzando il deposito in strati a comportamento visco-elastico lineare, il software calcola la funzione di trasferimento che moltiplicata per la trasformata di Fourier del moto di input fornisce la trasformata stessa in tutti i punti del profilo (prodotto di convoluzione), in pratica essa consiste nel eseguire un numero sufficiente di iterazioni (tipicamente tra 8 e 15) aggiornando al termine di ognuna di essa i valori di rigidezza e smorzamento in funzione di un aliquota del livello deformativo raggiunto all’iterazione precedente, con questo metodo molto utilizzato nella pratica professionale è possibile eseguire anche la deconvoluzione di un moto sismico registrato (ad esempio nel caso di moti sismici registrati su suoli deformabili) in un altro punto del profilo. Questo tipo di analisi costringe a lavorare in tensioni totali senza quindi tener conto della sovrappressione neutra indotta, tuttavia è possibile determinare la stessa con correlazioni empiriche in funzione della deformazione massima raggiunta (questo valore è tipicamente utilizzato per le verifiche di stabilità post-sisma). Come detto in precedenza l’utilizzo di questo metodo per la verifica a liquefazione rientra nell’ambito dei metodi di analisi dinamica semplificata valutando il sollecitazione ciclica (CSR) 164 GNGTS 2015 S essione 2.2

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