GNGTS 2017 - 36° Convegno Nazionale

GNGTS 2017 S essione 1.2 147 l’altezza delle scarpate in roccia viene quindi spesso utilizzata per stimare lo slip rate di lungo termine delle sottostanti faglie, nella presunzione che per il solo fatto di arrivare in superficie esse siano anche sismogeniche e capaci di generare terremoti di M 6.0+. In questo lavoro presentiamo un modello alternativo di esposizione lungo zone di faglia estensionali durante la fase interseismica e cosismica. Il nostro obiettivo principale è quello di mettere in evidenza come un nastrino di faglia sia la risultante di diversi processi sia tettonici che erosivo-deposizionali. Misure effettuate con sistematicità alla base di 23 nastrini di faglia selezionati dell’Appenino centrale hanno mostrato che l’esposizione dei piani in roccia carbonatica al di sotto del materiale colluvio-eluviale avviene con ratei fino a 40 mm/anno (Kastelic et al. , 2017). I ratei più veloci sono stati misurati in periodi caratterizzati da temperature più alte, mentre le variazioni di piovosità non influenzano in modo lineare il processo di esposizione. Per le faglie monitorate in più punti di misura osserviamo che l’esposizione di breve termine varia in maniera significativa anche spazialmente, ma tale variabilità diminuisce nel lungo termine. Oltre che nei punti selezionati per le misure il processo di progressiva esposizione del piano di faglia è chiaramente osservabile lungo ampi tratti del nastrino. In particolare il processo è evidenziato da un sbiancamento della scarpata in roccia direttamente in contatto con il colluvio- eluvio e riconducibile a lenti abbassamenti dei depositi al tetto della faglia o a repentini crolli. I dati misurati testimoniano quindi un movimento di abbassamento/scivolamento del materiale al tetto della faglia avvenuto in assenza di attività sismica in tutta l’area di studio, quindi anche in zona di faglia, e possono quindi essere considerati come rappresentativi di deformazione anelastica durante i periodi non caratterizati dalle sequenze sismiche.. Per analizzare i fattori che in condizioni dinamiche influenzano l’esposizione o la deformazione lungo scarpate tettoniche delimitate da depositi continentali non consolidati presentiamo il caso di studio del M. Vettore. Lungo il versante occidentale di questo importante rilievo la sequenza sismica del 2016 ha portato alla formazione di una complessa serie di scarpate con formazione di fratture aperte e ringiovanimento di piani di faglia in roccia. Secondo l’interpretazione più comune queste scarpate e fratture vengono considerate effetti primari del terremoto, ovvero come espressione della propagazione in superficie della fagliazione che ha luogo in profondità (Emergeo WG, 2016; Mildon et al. , 2016; Lavecchia et al. , 2017). Una parte minoritaria della comunità scientifica ha invece interpretato e modellato la deformazione cosismica osservata lungo il sistema di faglie del M. Vettore a seguito del terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016 (M w 6.0) come unmovimento di tipo gravitativo profondo (Huang et al. , 2016). Questa divergenza nelle interpretazioni del campo di deformazione superficiale suggerisce una complessa interazione tra differenti processi cosismici legati sia alla deformazione tettonica (es. fagliazione superficiale), sia allo scuotimento sismico (movimenti gravitativi, addensamento, fratturazione secondaria). In questo lavoro proponiamo un modello geo-litologico a due strati del M. Vettore ( bedrock carbonatico fratturato e depositi continentali, sia di versante che eluvio-colluviali) assumendo che all’interno di ciascuno strato le proprietà reologiche siano omogenee e costanti. Abbiamo quindi effettuato un’analisi di stabilità del versante in condizioni statiche seguendo il metodo di Janbu e Bishop in 2D e 3D (Bishop, 1955; Janbu, 1973) ed in condizioni dinamiche secondo il metodo proposto da Newark (1965). In questo modo è stata stimata la componente gravitativa del movimento lungo il sistema di faglia del M. Vettore a seguito dei terremoti del 24 agosto e 30 ottobre 2016. I nostri risultati mostrano chiaramente che gli offset misurati (esposizione nastrini e fratture nel colluvio-eluvio) sono il risultato di diversi processi e non esclusivamente della fagliazione primaria. L’assetto topografico e le proprietà reologiche delle litologie coinvolte influenzano in modo decisivo l’andamento del campo di deformazione cosismico osservato. Il nostrocontributo,mostrandoche i tassi di erosionenon sonopari a zeroe che ladeformazione cosismica contiene una componente non tettonica, mette in discussione la presunzione che l’esposizione dei piani di faglia in Appennino centrale sia dovuta esclusivamente a fagliazione

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