GNGTS 2018 - 37° Convegno Nazionale
GNGTS 2018 S essione 1.1 123 morfometrici o geochimici. È noto ai più che alcune di queste sono in realtà faglie esumate per motivi climatici, spesso durante periodi di instabilità dei sistemi morfologici montani innescati da significative transizioni climatiche e/o a modifiche antropiche del paesaggio, nel corso del Pleistocene recente-Olocene. L’esumazione di queste scarpate di faglia in roccia è avvenuta per erosione differenziale, ma anche per instabilità del blocco di tetto, spesso costituito da unità flyschoidi marnoso-argillose, mentre le faglie risultano - in verità - sigillate da brecce continentali del Pleistocene Inferiore (p.e., Messina et al. , 2015). Quella sporca dozzina . Analizzando i contesti deformativi tardo quaternari delle faglie e la loro storia sismica - così come delineati nei lavori di tettonica attiva e dagli studi paleosismologici di riferimento - ho selezionato 12 faglie distribuite dal settore umbro- marchigiano dell’Appennino alla Calabria, oltre ad una di pertinenza alpina. Il criterio di inclusione è stato che alle faglie fossero stati attribuiti almeno i tre ultimi paleo-terremoti consecutivi e che questi fossero stati datati in un intervallo ragionevolmente breve di tempo, ad eccezione del caso alpino (Faglia di Egna, Val d’Adige) che ne ha due soli, ma molto ben vincolati cronologicamente. Le faglie appenniniche sono quella di Norcia (Umbria), del Monte Vettore (Umbria-Marche), dell’Alto Aterno (Abruzzo), di Ovindoli-Campo Felice (Abruzzo), del Fucino (Abruzzo), del Monte Morrone (Abruzzo), delle Aquae Iuliae (Molise-Campania), del nord Matese (Molise), del Monte Marzano (Campania), di Caggiano (Campania), dei Laghi (Calabria) e di Cittanova (Campania). Una parte di esse è stata oggetto di studio da parte di differenti gruppi di ricerca, i cui risultati ho cercato, dove possibile, di integrare reciprocamente, risalendo ai dati originali pubblicati. È evidente, se mi si passa l’ossimoro, l’assenza di alcuni convitati di pietra, quali le faglie silenti della Laga, del Gran Sasso, del Pollino e altre per le quali, a fronte della conclamata potenzialità distruttiva, non si hanno ancora dati sufficienti per stimarne il comportamento sismogenetico. Se analizziamo i tempi di ritorno di attivazione delle diverse faglie, si osserva che tutte, più o meno, mostrano un comportamento costante negli ultimi ~2000 anni. Per la maggior parte di esse tale regolarità è presente anche nei millenni precedenti, mentre le restanti sembrano aver aumentato la frequenza di rilascio in tempi storici. È il caso della faglia del Monte Marzano, che ha un intervallo di ricorrenza di 500 anni nel periodo storico a fronte di una media di 2000 anni a partire dalla fine dell’Ultimo Massimo Glaciale (UMG). O del Fucino, con una ricorrenza di 700 anni nel periodo storico e una media di 2100 anni dall’UMG. Va tuttavia considerata la possibilità che più si arretra nel tempo, più lacune stratigrafiche potrebbero aver obliterato antichi eventi di fagliazione. Tra le strutture con comportamento regolare per tutto il periodo investigato, periodo diverso da caso a caso, ricordo i sistemi di faglie di Norcia e del Monte Vettore, con tempi di ricorrenza di 1800 anni (entrambi negli ultimi 8 ky); quello di Ovindoli-Campo Felice (circa 3000 anni, ultimi 7 ky); del Monte Morrone (2400 anni, ultimi 9 ky); delle Aquae Iuliae e del N-Matese (500 e 900 anni rispettivamente, nel periodo storico); dei Laghi (1200 anni, ultimi 4 ky) e di Cittanova (3200 anni, ultimi 13 ky). Sorprenderà i più, forse, che in Appennino circa la metà delle strutture conosciute ha tempi di ricorrenza tra 500 e 900 anni, con casi anche di 300 anni inAppennino meridionale su coppie consecutive di eventi, mentre per il resto i periodi oscillano tra 3200 e 1200. Utilizzando le serie di dati sommariamente descritte in precedenza, si possono effettuare delle semplici considerazioni di natura tempo-dipendente sulla possibile – sebbene mai certa - futura attivazione di ciascun sistema di faglie, analogamente a quanto descritto, per esempio, da Lienkaemper et al. (2010) per la faglia di Hayward in California (Fig. 1). Naturalmente, tenuto conto delle incertezze presenti nei singoli casi, ovvero della larghezza della forchetta temporale all’interno della quale i paleo-terremoti sono stati collocati, dei possibili hiatus nelle sequenze deposizionali interessate dalla fagliazione (i.e., perdita di paleo-eventi), della possibile interazione tra faglie contermini e dell’altrettanto possibile rottura di segmenti minori dei sistemi di faglia (si pensi ai sistemi di Norcia, dell’Alto Aterno o del Monte Marzano,
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